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La Radio in Italia

1.2 Introduzione storica: La radio in Italia

La storia della radiofonia in Italia prese le mosse, ufficialmente, il 30 giugno 1910.

La legge numero 395, prima legge in assoluto sulla radiofonia, aveva lo scopo di regolamentare il traffico di comunicazioni senza fili attraverso norme di carattere militare e di sicurezza nazionale.

La 395 fu inoltre l’unica legge, fino al 1975, a seguire la normale procedura legislativa: dal 1910 al 1975 infatti, tutte le decisioni del Governo in ambito radiofonico si espressero attraverso i decreti legge, a riprova del fatto che l’Esecutivo, resosi presto conto dell’enorme potere del nuovo medium, non lasciò spazio al dibattito parlamentare, unica garanzia di democraticità per quanto riguardava sia le concessioni radiofoniche, sia i contenuti stessi delle leggi.

Appare chiara la visione ancora assai limitata della funzione delle radiocomunicazioni, considerate come una specie di servizio di posta più veloce, oppure uno strumento di difesa e offesa militare.

Un fatto incontestabile tuttavia emerge nelle prime righe della legge: la facoltà per il Governo:

di accordare a qualsiasi persona, ente o amministrazione pubblica o privata, a scopo scientifico, didattico, od anche di servizio pubblico o privato, l’autorizzazione di stabilire ed esercitare impianti di tal natura a terra e sulle navi da diporto o di commercio, previa regolare concessione

(art. 1, comma 2).

Dal contesto della legge, pare si possa dedurre una previsione di più concessioni, tutte, naturalmente, controllate dallo Stato.

Nel nostro paese il processo di evoluzione in materia radiofonica fu lento, purtroppo anche a livello giuridico: la formulazione del regolamento per l’esecuzione della legge sopra citata reca la data del 1° febbraio 1912.

A cosa fu dovuta questa lentezza di crescita ed evoluzione del settore? Le radiocomunicazioni erano soprattutto una funzione terziaria, ma ad esse erano legate strettamente vaste attività industriali, ed in primo luogo quelle dell’elettricità, in pieno sviluppo nel primo quindicennio del secolo.

Un esempio per meglio inquadrare la situazione: l’inventiva italiana, pur inserendosi in un processo di industrializzazione assai più recente rispetto all’occidente europeo, risultava molto competitiva nel settore automobilistico.

Non le mancava dunque né un adeguato livello di studi e tecnologia, né un forte supporto dell’energia idroelettrica. Dato che in questo settore l’Italia non partiva svantaggiata rispetto alle altre nazioni, non si può parlare di carenze tecniche: il problema deve dunque essere cercato altrove.

Se si analizza la storia radiofonica degli altri Stati il dislivello è evidente: in Inghilterra il Wireless telegraph Act era del 1904, e permetteva a chiunque di creare piccole stazioni trasmittenti; in Francia la Télégraphie sans fils venne regolamentata dal 1922; in Germania dal 1923 iniziarono le trasmissioni.

Secondo gli studi di Alberto Monticone – politico , saggista e docente universitario – la causa prima che determina il ritardo italiano è da ricercare nel complessivo arretrato livello di vita della società italiana.

Già ai tempi della radiotelegrafia e radiotelefonia (che potremmo convenzionalmente far partire dall’ultimo trentennio dell’Ottocento fino ai primi del Novecento) si riscontrava infatti la limitata partecipazione ai benefici effetti della “seconda rivoluzione industriale”, circoscritti socialmente ad alcuni settori e geograficamente ad alcune regioni della penisola.

Con l’avvento delle radioaudizioni la situazione non cambiò di molto, infatti solo alcune categorie di imprenditori e alcuni ambienti dell’Amministrazione statale nel dopoguerra videro nelle radiocomunicazioni un nuovo business per la propria attività.

Monticone individua una seconda causa nel limitato dibattito politico, che non attribuiva molta credibilità – e quindi utilità – alla funzione della diffusione delle idee e della propaganda attraverso la Radio.

Inoltre, direttamente collegato a quest’ultimo, un motivo non trascurabile è da ricercare nella pesante situazione di dissesto economico lasciata dopo la Prima Guerra mondiale, che si ripercuoteva anche nella vita politica, la quale stava vivendo un periodo di autentico caos.

Nel giugno del 1921 il Governo Giolitti cadde, non avendo raggiunto la maggioranza sperata nelle elezioni. Il regime liberale stava attraversando una profonda crisi, così come le varie sinistre, divise in socialisti massimalisti, socialisti unitari e comunisti.

Mussolini salì alla Presidenza del Consiglio dei Ministri il 29 ottobre 1922. La procedura avvenne in modo formalmente costituzionale, in quanto nominato dal re Vittorio Emanuele. Trentanovenne, ancora poco avvezzo al mondo della politica Mussolini diventò il più giovane Presidente del Consiglio della storia italiana.

Appena preso il potere cercò, per qualche tempo, di non lanciarsi in impegni politici troppo importanti: il suo scopo principale era quello di far sopravvivere il proprio partito rafforzandone il potere, difendendolo dagli stessi suoi eterogenei componenti.

Tornando al discorso sulla Radio, si nota come inizialmente Mussolini non provò particolare interesse verso il nuovo medium: egli preferirà sempre le apparizioni pubbliche per fare presa sui cittadini. Inoltre – come detto – le sue priorità, appena insediatosi, erano di ben altro genere.

Nel 1922 giunse però al Sottosegretario alla Presidenza del Consiglio Giacomo Acerbo, una lettera di Filippo Bonacci, avvocato e portavoce della Società Italiana Servizi Radiotelegrafici e Radiofonici (Sisert), società con a capo Guglielmo Marconi il cui scopo era quello di ottenere l’esclusiva dei servizi radiotelegrafici e radiotelefonici internazionali sul territorio italiano.

Con questo documento Bonacci – o più precisamente Marconi – sosteneva che la detta società fosse l’unica in grado di soddisfare i Regi Decreti per la concessione dei servizi pubblici.

E’interessante notare come per eliminare dalle trattative le società europee Telefunken e Société Générale de Télégraphie sans fils che avevano già filiali in Italia (apparteneva al gruppo francese la “Radio Italia” con un milione di capitale, e alla società tedesca la “Radio Elettrica”, anch’essa con un milione di capitale) i componenti della Sisert facessero leva su argomenti di politica, sperando in questo modo di ottenere le attenzioni del Presidente del Consiglio:

“[…] Da parte delle società estere è stata finora ostacolata, mediante una ingiusta propaganda, la costituzione di un grande ente radiotelegrafico italiano, e ciò allo scopo di far sorgere in Italia tante piccole società dipendenti dalle maggiori società estere le quali poi fra loro sarebbero d’accordo per il controllo dei servizi radiotelegrafici italiani. Noi invece proponiamo che, sotto la presidenza dell’inventore italiano della radiotelegrafia, l’Italia prenda il posto che le spetta fra le grandi Potenze nella rete radiotelegrafica mondiale. […]

La Sisert è l’unica società italiana che soddisfa a tutte le condizioni imposte dal governo nei R. Decreti e nei bollettini ufficiali del Ministero delle Poste e dei Telegrafi per le società che aspirano ad ottenere concessioni per radioservizi pubblici.”

Sottolineandone il carattere nazionale, Marconi fece leva sul contributo indubbiamente fondamentale delle sue scoperte, inoltre sminuì i legami con la società inglese Marconi Wireless garantendo la presenza della propria persona a capo della società e indicando l’esistenza di officine autonome in Italia (a Genova).

Nonostante le proteste di italianità della Sisert il suo collegamento con l’ambiente inglese appariva comunque palese.

Come reazione alla mossa della società di Marconi Telefunken e Société Général si fusero e crearono la “Italo radio”, una società il cui intento fu proprio quello di ottenere la gestione dei servizi radiofonici.

Mussolini, abbandonando momentaneamente il concetto di “italianizzazione” nelle sue scelte per la concessione dei servizi radiotelegrafici, era essenzialmente guidato da due direttive: affidare la radiotelegrafia ad un unico gruppo ben controllato dallo Stato e fare in modo che il gruppo entrasse in un trust internazionale.

Emanò quindi un decreto legge col quale veniva maggiormente definita la competenza del Ministero delle Poste, il quale ottenne un grande potere di controllo e di selezione degli eventuali concessionari, si instaurò una politica tariffaria che dava la preferenza al materiale nazionale e inoltre il Governo poteva imporre per ragioni di pubblica sicurezza il licenziamento o negare l’assunzione di personale da impiegarsi negli impianti.

Ciò rispondeva sia alle esigenze di prestigio e di parità nella politica estera mussoliniana del primo anno, sia alla linea di soddisfacimento degli imprenditori privati perseguita dal ministero; in questo secondo aspetto la mancata concorrenza della libera iniziativa privata veniva compensata da una eventuale partecipazione multipla al gruppo concessionario.

Probabilmente il sistema di un unico concessionario per le emissioni radio fu una proposta del Ministro delle Poste e Telegrafi, G. Antonio Colonna Di Cesarò, membro del Partito radicale italiano, nel governo Mussolini fino al 1924.

Il ministro tentò di far convergere in un’unica iniziativa le tre maggiori compagnie italiane, ma fallì di fronte all’irrigidimento della Sisert, così nell’estate del 1923 andò delineandosi il progetto di affidare la concessione alla Italo Radio. Ciò avvenne con la convenzione, stipulata il 29 agosto ad approvata con Regio Decreto 23 settembre 1923, n. 2217.

Con questo atto il governo italiano accordava alla Italo Radio (Società Italiana per servizi radioelettrici), costituita in Roma con capitale sociale di 7 milioni, la concessione per 23 anni delle stazioni radiotelegrafiche di Coltano (Pisa), di Genova, di Trieste e di quelle da impiantare a Roma, Milano e Napoli.

Un aspetto importante era costituito dai rapporti con la Telefunken e con la Compagnie Générale de Télégraphie Sans Fils, delle quali la Italo Radio utilizzava i brevetti: nel giro di 18 mesi avrebbe dovuto iniziare la fabbricazione in Italia dei pezzi su tali brevetti; inoltre mediante l’acquisto, per 20 milioni di lire, di azioni di compagnie sudamericane collegate alle due società estere sarebbe entrata a far parte dei consigli di amministrazione delle due società.

In cambio di questo inserimento nel trust internazionale venne richiesto il vincolo della italianità del 55 per cento delle azioni della “Italo Radio” nonché una serie di garanzie sulla nazionalità degli amministratori.

La convenzione si presentava come un documento organico, minuzioso, con prospettive di lunga durata e di sviluppo: il primo nel settore delle radiocomunicazioni che sistemasse a fondo la materia con scelte precise.

immagine della stazione Radio ColtanoUn immagine recente del Centro Radio di Coltano (Pisa). La costruzione iniziò nel 1904, ma a causa di vari intoppi burocratici la prima trasmissione di prova si sarebbe svolta solo nel 1911. Dal 1924 al 1930 il centro venne affidato alla gestione della Italo Radio per poi passare alle dirette dipendenze del Ministero delle Poste. Fino agli Anni Quaranta venne usato regolarmente per le comunicazioni con tutto il mondo, fino alla distruzione delle sue antenne, mai più ricostruite.

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